martedì 9 dicembre 2014

Faster, Pussycat! Kill! Kill!

Qualcuno di sicuro penserà che sono pazzo. Solo pochi giorni dopo il post dedicato alle donne che subiscono violenza, eccomi a presentare un post sulle donne che la violenza la fanno, un post sulle cosiddette Bad Girls, ovverossia le ragazze cattive del cinema. Dite che sono incoerente? Tutt’altro, perché se il fenomeno della violenza sulle donne, benché più volte rappresentato nella finzione cinematografica, ha un suo enorme e triste risconto nella realtà di tutti i giorni, il fenomeno delle ragazze cattive nel cinema rimane più che altro legato a quell’immaginario maschile nel quale le ragazze assumono comportamenti prevalentemente “da uomini”, vale a dire ubriacarsi, azzuffarsi e gareggiare in velocità, pur conservando immutata la loro sensualità o, meglio ancora, elevandola al massimo con l’ausilio di vestiti attillati e provocanti, in particolare camicette che strizzano seni enormi e lunghe gambe in equilibrio su tacchi vertiginosi.
Un genere di film che altro non è che un ritratto del potere che la sessualità femminile ha sugli uomini, le cui caratteristiche differiscono dai soliti stereotipi: in questi film i maschi sono le vittime, e le donne i carnefici che applicano le loro "armi", senza porsi alcuno scrupolo, per raggiungere i loro obiettivi. Si tratta di un fenomeno esclusivamente americano? Non proprio, ma è logico che questo tipo di immaginario abbia trovato il terreno più fertile in una società profondamente individualista come quella americana, dove all’iniziativa personale (nel bene e nel male) viene sempre dato molto valore, anche quando poi, in base a logiche morali e "conservatoristiche", viene condannata; dove, pur biasimandola, si strizza persino l’occhio alla giustizia fai-da-te. Per questo il cinema americano, accanto agli eroi buoni, ha un’ancor più lunga parata di reietti, giustizieri e criminali.

sabato 29 novembre 2014

Avere vent'anni

«Avevo vent'anni... Non permetterò a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita.» (Paul Nizan)

Quasi due mesi dall’ultimo post apparso qui su Obsploitation potrebbero aver lanciato il messaggio che quei miei vecchi propositi di gestire un secondo blog, parallelo ad Obsidian Mirror, fossero naufragati. La risposta è in questa uscita tardo novembrina che, nonostante quasi sorprenda anche il sottoscritto, va considerata come una dichiarazione d’intenti. Obspoitation vive e, sebbene a volte arranchi o si senta schiacciato dal predominio del blog principale, continua lento ma imperterrito per la sua strada.
Molte cose sono successe dall’ultima volta che mi sono trovato davanti al biancore abbacinante di queste pagine, ma tra le tante ce n’è una che Obspolitation non poteva ignorare: la prematura scomparsa di una delle regine della commedia sexy all’italiana anni Settanta. Sto parlando naturalmente di Lilli Carati, all’anagrafe Ileana Caravati, giovane interprete di B-movies oggi elevati allo stato di cult e, in questi ultimi anni forse ancora più di allora, icona exploitation fra le più desiderate.
A coloro che si aspettano un post-necrologio che, in quattro e quattr’otto, si trasformi nella solita divagazione perbenista sugli anni più travagliati della vita di Lilli Carati, rispondo che no, non è questo il posto giusto da cui mettersi sparare sentenze. Lilli Carati non è più tra di noi e tutto quello che è stato detto e fatto non ha più importanza. Adesso è giunto il momento del silenzio. È giunto il momento di ricordare Lilli Carati nella versione splendida che seppe offrire alla macchina di presa di Fernando Di Leo nell’ormai lontano 1978.

domenica 5 ottobre 2014

San Babila ore 20: un delitto inutile

Ci sono film che per una ragione o per l’altra rimangono legati all’esistenza di una persona. Alcuni film rimangono impressi nella memoria perché la loro visione ha trasmesso, più o meno inconsciamente, delle emozioni, positive o negative poco importa. Ci sono invece film che invece lavorano ad un livello ancora più profondo, scavano nel subconscio e lì lasciano un segno. È quello che in certo senso ha fatto con me questo “San Babila ore 20”, pellicola cult che Carlo Lizzani girò nell’ormai remoto 1976. 
Un film che mi ha fatto scattare qualcosa dentro sin dalla prima volta che lo sentii nominare. Un “qualcosa” di molto simile ad una tarma che per anni non ha fatto altro che rosicchiare in un angolo introvabile del mio cervello, senza lasciarmi mai in pace. Il paradosso è che “San Babila ore 20” io l’ho visto per la prima volta solo in tempi recenti, oltre trent’anni dopo che quella tarma iniziò il suo dannato lavoro in una lontana sera di inizio anni Ottanta. Sembra incredibile, assurdamente incredibile, ma le cose sono andate esattamente così.
Ricordo che all’epoca dei miei quindici anni trascorrevo le serate estive con il solito gruppo di amici, con i quali condividevo alcuni vaghi interessi ma soprattutto con cui mi divertivo a giocare a pallone, a mangiare gelati, a fare quelle cose innocue che di solito si fanno in un’età in cui le preoccupazioni tendono allo zero. In quelle serate non si faceva granché, per lo più si rimaneva seduti da qualche parte sotto casa, a parlare del più e del meno e a sfotterci a vicenda senza tregua come solo i ragazzini sanno fare. Ecco, i miei ricordi di “San Babila ore 20” partono da qui. C’era un ragazzo, un anno più grande di me, che ne parlava in termini entusiasti. Lo aveva visto pare anche più di una volta, la sera tardi, su una di quelle televisioni private che oggi non esistono più. Lo aveva visto e ce lo raccontava. Ci raccontava di come fosse a suo parere uno dei film più violenti della storia, un film proibitissimo che lui, chissà come, non aveva avuto alcun problema a rimanere alzato a vedere nonostante la presenza dei genitori nella stanza accanto.

martedì 9 settembre 2014

Una lucertola con la pelle di donna

Lucio Fulci lo si può amare o lo si può odiare, lo si può ammirare, lo si può criticare oppure lo si può semplicemente ignorare. Sono sicuro che in molti là fuori potrebbero spendere delle intere ore a disquisire su uno dei registi italiani più controversi del secolo scorso. Ciò che non si può però ignorare è la sua immensa filmografia, una delle più eterogenee in assoluto, in grado di spaziare dallo spaghetti western (Le colt cantarono la morte e fu... tempo di massacro, 1966) al noir (Luca il contrabbandiere, 1980), dalle commedie (Come inguaiammo l'esercito, 1965) al drammone medievale (Beatrice Cenci, 1969), dal giallo all’italiana (Non si sevizia un paperino, 1972) fino al gore più truculento (Zombi 2, 1979).
C’è da dire che, guardando i suoi lavori, anch’io ho avuto momenti di grande ammirazione contrapposti a momenti di grandi perplessità. Perplessità dovute più che altro alla sua produzione posteriore al 1982 dove, a mio parere, c’è davvero poco o nulla che valga la pena di ricordare. Ma non siamo qui per parlare del cosiddetto “horror all’amatriciana” che ha contraddistinto gli ultimi anni della carriera del “Godfather of Gore” che, ricordiamo, oltre ad essere stati realizzati partendo da un budget irrisorio, erano film che probabilmente avevano risentito della lunga assenza per malattia del suo autore, malattia che lo colpì nel 1984 e dalla quale non si sarebbe più completamente ripreso. Siamo qui oggi per parlare della sua fase più creativa, in parte forse la più fortunata, ma indubbiamente la più rappresentativa del repertorio del massimo artigiano che il nostro cinema abbia mai avuto.

lunedì 25 agosto 2014

A cena col vampiro

Grande evento oggi su Obsploitation! Chi ha avuto modo di leggere i commenti in coda al post precedente avrà di sicuro già intuito di cosa si tratta. Ebbene il blogger itinerante Marco Lazzara, conosciuto anche come il ronin della blogosfera, si unisce a questo carrozzone per offrirci la sua personale visione di uno tra i film forse meno noti di Lamberto Bava.
Docente di Chimica e scrittore di racconti, il nostro Marco Lazzara è autore della raccolta "Incubi e Meraviglie" che colgo l'occasione di citare (e di linkare) per ringraziarlo, sebbene in proporzione non abbastanza, per aver dedicato qualche ora del suo prezioso tempo a (ri)guardarsi questo filmaccio e a scriverci pure qualcosa in proposito. Grazie infinite, Marco!
Ammetto che ci vuole fegato per intraprendere la visione di "A cena col vampiro" sapendo esattamente di che morte si finirà per morire. Personalmente conoscevo questo film per averlo visto secoli addietro e, se devo dirla tutta, sono anche un invidiato possessore del DVD originale, particolare questo per cui, a partire da stasera, sarò irriso da tutti i visitatori del blog. Anzi, se proprio devo dirla tutta, possiedo l'intero cofanetto "Brivido giallo", citato da Marco nel suo articolo, contenente il peggio del peggio di Lamberto Bava. Se avevo delle vaghe speranze di venderlo in blocco a cinque euro su ebay... beh...  da stasera tali speranze sfumeranno definitivamente ed io dovrò in un modo o nell'altro farmene una ragione. Ma basta ciarlare. Lascio la parola al buon Marco Lazzara che vi prenderà per mano e vi porterà.... a cena col vampiro!

lunedì 18 agosto 2014

La sanguisuga conduce la danza

Avete presente quei vecchi horror gotici italiani, molto popolari negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta? Quei vecchi film talmente affascinanti che sembrano non invecchiare mai e che ebbero tra i suoi massimi interpreti cineasti del calibro di Riccardo Freda (I vampiri, 195), Renato Polselli (L’amante del vampiro, 1960), Mario Bava (La maschera del demonio, 1960) e Antonio Margheriti (Danza Macabra, 1964)? Era un tipo di film le cui trame si svolgevano accarezzando, chi più chi meno, tutta una serie di stereotipi che ne permettevano rapida l’identificazione nel genere (e in questo caso il mio uso del termine stereotipi è tutt’altro che negativo).
Solitamente c’era un eroe/nobiluomo di mezza età, possibilmente di bell’aspetto ma non troppo. C’era naturalmente un castello arroccato in cima ad un luogo inaccessibile, come per esempio una scogliera. C’era il ricordo di una storia familiare tragica, spesso caratterizzata da morti violente o suicide. C’era una dama misteriosa che si aggirava per le stanze del castello, spesso più di una, il cui fascino finiva inevitabilmente per stregare il nobiluomo di cui sopra o un suo occasionale ospite. Sporadicamente c’era un ritratto sopra il camino raffigurante una nobildonna, morta secoli prima, dall’impressionante somiglianza con la dama già citata. Facevano da contorno tutta una serie di vari personaggi opzionali, dal maggiordomo tenebroso al giardiniere misterioso, dalla governante goffa alla giovane ancella di cui non si capiva mai bene la funzione reale nell’economia del film.

giovedì 31 luglio 2014

La frusta e il corpo

Domanda: "Che cosa desidera per il futuro?"
Mario Bava: "Desidero una bara ricolma di sangue nella quale io possa riposare in pace, potendo però uscire la notte per addentare sul collo i film che ho fatto."
Domanda: "Come si spiega che gli americani e i francesi hanno apprezzato i suoi film più degli italiani?"
Mario Bava: "Perché sono più fessi di noi."

Esattamente un secolo fa, il 31 luglio 1914, nasceva Mario Bava, uno dei pochi indiscutibili caposaldi del cinema italiano di genere. Autore di pellicole consacrate allo stato di cult quali “La maschera del demonio” (196o) o “Sei donne per l’assassino” (1964), solo per citare un paio di titoli già recensiti dalle mie parti, Mario Bava ha segnato un solco che sarebbe stato ripercorso innumerevoli altre volte dai nostri registi, a partire da Lamberto, figlio d’arte e biologico, passando da tutta la generazione di registi anni Settanta e transitando dai signori del giallo, non ultimo quel Dario Argento che ha sottratto a Bava tutti gli inconfondibili stilemi del giallo che lo avrebbe reso celebre, per terminare (ebbene sì) con la generazione degli Zampaglione et similia che, pur con altalenanti risultati, devono certamente gran parte del loro mestiere agli insegnamenti del grande maestro. Inventore riconosciuto del film gotico, del giallo all’italiana, ma anche di catogorie “meno nobili” come lo slasher, Mario Bava riuscì ad esportare il suo ingegno anche all’estero, raggiungendo e ispirando nomi del calibro di David Lynch, Martin Scorsese, Tim Burton e, naturalmente, il “solito” Quentin Tarantino.

martedì 29 luglio 2014

Sette note in nero

Mi sposai giovane, e fui felice di trovare in mia moglie una indole congeniale alla mia. Osservando la mia predilezione per gli animali domestici, non perdeva occasione di procurarmi quelli delle specie più piacevoli. Avevamo uccelli, pesci dorati, un bellissimo cane, conigli, una scimmietta e un gatto.

Tutto iniziò nel 1843, quando un ispirato scrittore americano diede alla luce un racconto che, seppur nella sua brevità e nella semplicità del suo intreccio, sarebbe stato destinato a diventare uno dei capisaldi assoluti della letteratura horror di tutti i tempi. L’idea di base era molto semplice: sfruttare quell’antichissima leggenda che vede i gatti neri portatori di sventura, una leggenda che, tramandata di epoca in epoca, non poteva non essere giunta alle orecchie del nostro scrittore. Sulle origini del misterioso potere attribuito ai gatti neri si potrebbero spendere pagine e pagine ma, in questa sede, basti sapere che tutto è da ricondursi alla civiltà dell’antico Egitto, la più remota testimone della convivenza tra uomini e gatti (agli antichi egizi si devono le prime immagini funerarie di gatti nonché le prime iscrizioni a loro dedicate nelle piramidi). Legati alla dea Iside, regina della notte, i gatti neri vennero quindi associati al concetto di oscurità, il che li portò, con un breve passo, a divenire, come quest’ultima, sinonimo di paura. I secoli non fecero altro che amplificare questa associazione, fino a toccare l’apice durante gli anni bui dell’Inquisizione, quando migliaia di gatti neri vennero perseguitati e messi al rogo per le loro supposte connotazioni maligne. 

sabato 12 luglio 2014

Il prato macchiato di rosso

Davvero singolare questo “Il prato macchiato di rosso”, film horror italiano diretto nel 1972 dal semisconosciuto regista piemontese Riccardo Ghione (su di lui non esiste nemmeno una pagina di wikipedia).
Opportunamente realizzato sulla scia del capolavoro di Riccardo FarinaHanno cambiato faccia” (1971), già recensito diverso tempo fa sul mio blog gemello, “Il prato macchiato di rosso” tenta, come il suo predecessore, di inserire dei forti temi di critica sociale in un contesto giallo-horror, facendo leva sul fatto che la combinazione dei due elementi, a quell’epoca, non poteva che portare ad un prevedibile successo.
Al contrario “Il prato macchiato di rosso”, deriso e sbeffeggiato al suo debutto, finirà impietosamente per allungare l’enorme  lista dei tanti film invisibili di cui è pieno il mondo, regalando al suo regista, come ciliegina sulla torta, il non invidiabile titolo di “Ed Wood italiano”.
Il film uscì in anteprima sul grande schermo nel 1973, presentato in un'unica sala in quel di Fiorenzuola d’Adda, la città piacentina che fu in gran parte teatro delle riprese. Dopo quella prima proiezione, il film scomparve misteriosamente. Per anni lo si ritenne addirittura definitivamente perduto fino a quando, solo pochi anni fa, la CineKult di Manlio Gomarasca non riuscì a disseppellirne una copia, a restaurarla in maniera certosina e a riconsegnarcela splendente come un tempo in un DVD ricco di extra.

lunedì 30 giugno 2014

Un'estate di terrore

Stavo giustappunto ca##eggiando su e giu' per il centro di Pigadia, capoluogo di questa incredibile Karpathos, dove sto smaltendo le fatiche dell'inverno, quando la visione di quest'internet cafe' non ha saputo lasciarmi indifferente.
E cosi' eccomi qui, a tamburellare su una tastiera greca dove mancano le vocali accentate e i tasti sono posizionati in angoli che non avrei mai detto. Il bello e' che ci sono anche le lettere greche su questa tastiera greca. Incredibile, no? 

Interrompo brevemente le mie vacanze per informarvi di un evento che sta per iniziare nella blogosfera, una piccola notizia che evidentemente non puo' attendere di essere diffusa, visto che stiamo parlando di domani.
Un gruppo di nostalgici blogger cinefili ha deciso di rilanciare un appuntamento che molti di voi forse ricorderanno, quello della "Notte Horror", quel mitico appuntamento televisivo che, negli anni Novanta (o giu' di li') tutti i martedi' sera su Italia1 costringeva noi appassionati a rimanere appiccicati allo schermo.
Quelle notti horror appartengono ormai al passato, ma nella calura di questa estate 2014 rivivranno, almeno in parte, su questo e altri blog.

Qui a lato potete consultare la locandina del programma che ci accompagnera' fino all'inizio di settembre. Il sottoscritto partecipa addirittura con tre film, due qui su "Obsploitation", due sul fratello maggiore "Obsidian Mirror".
Il primo appuntamento e' gia' per domani sera alle 21 sul blog "Il giorno degli zombi" e, a seguire, alle 23, sul blog "Non c'e' paragone". Vi rimando da loro per il momento. Ora vado a riprendere quello che stavo facendo, vale a dire spiaggiarmi.

A presto!

domenica 22 giugno 2014

Il medaglione insanguinato

Spoletium, 241 a.C.: sulle pendici del Monteluco, presso una curva del torrente Tessino, affluente del Maroggia, in posizione assai ridente per la chiostra di montagne verdeggianti che le fanno corona, un insediamento, le cui origini affondano nella preistoria, diviene colonia romana. Spoletium, 571 d.C.: strappata dai longobardi al dominio bizantino, la città diviene sede di un vasto e potente ducato. Spoletium, 1155 d.C.: la città, ancor florida e potente sebbene il ducato si avviasse alla decadenza, viene assalita e distrutta da Federico Barbarossa. Spoletium, 1775 d.C.: una bambina scompare in circostanze misteriose mentre, in quello stesso istante, un quadro appare improvvisamente su una delle pareti del soggiorno di una villa fuori città. Per entrambi gli avvenimenti, apparentemente slegati tra di loro, non viene trovata alcuna spiegazione. Resta indiscutibile la straordinaria somiglianza tra la bambina scomparsa e una figura al centro del dipinto. Spoleto 1975 d.C.: la città presenta un aspetto vetusto, con i suoi numerosi edifici medievali e del Rinascimento, le vie strette e tortuose, spesso a cordonata, e i numerosi cavalcavia. Il quadro è allo studio degli esperti. Una figura in bianco, apparentemente una bambina, cerca di sfuggire terrorizzata ad un gruppo di persone (contadini?) armate di falci e bastoni. Il suo sguardo è rivolto verso l’alto, in direzione di una seconda figura femminile, adulta, che precipita nel vuoto circondata dalle fiamme. Sovrasta l’intera scena una figura demoniaca, che si staglia, appena distinguibile se non fosse per il suo colore rosso fuoco, sulle nuvole sullo sfondo. Spoleto 1975 d.C.: il regista Massimo Dallamano presenta il suo ultimo film, “Il medaglione insanguinato”, la storia di un documentarista britannico, interprato da Richard Johnson, inviato nella città umbra dalla BBC per una ricerca sull’iconografia demoniaca. Egli si troverà a dover far luce sulla vicenda di un misterioso dipinto apparso misteriosamente in quei luoghi due secoli prima.

martedì 10 giugno 2014

Il cittadino si ribella

Mentre parlavi pensavo che mio padre è morto per niente. C’eri anche tu quando scrisse quel manifesto che incitava gli italiani a ribellarsi ai tedeschi. La pensavi come lui allora. E adesso che fai? Ti sei cucito la bocca e inghiotti il rospo come fanno tutti. Sai cosa mi ha scritto mio padre prima che lo fucilassero? “Per essere libero, ricordati, devi imparare a ribellarti. E se le leggi sono ingiuste non è solo tuo diritto, ma tuo dovere disubbidirle.”
A distanza di un paio di mesi torniamo a parlare di poliziottesco su Obsploitation, e lo facciamo tirando in ballo uno dei più grandi registi del genere, vale a dire il mitico Enzo G. Castellari, autore di pellicole ormai elevate a stato di cult quali “La polizia incrimina, la legge assolve” (1973) e il qui presente “Il cittadino si ribella” (1974). Non è tuttavia il poliziottesco il genere per cui forse la maggior parte degli appassionati di cinema delle nuove generazioni conoscono Enzo G. Castellari. Sebbene infatti il regista romano sia stato uno dei nostri maggiori talenti nei decenni Settanta e Ottanta, il suo nome ritornò in auge solo pochi anni fa grazie alla pubblicità che ne fece Quentin Tarantino, il quale, presentando al Festival di Cannes il suo “Bastardi senza gloria” (Inglourious Basterds, 2009), non poté esimersi dal citare il nostro come fonte assoluta d’ispirazione. A beneficio di coloro a cui fosse sfuggito, “Bastardi senza gloria” altro non è che il titolo di produzione del film che Castellari avrebbe in seguito portato nelle sale italiane con il titolo di “Quel maledetto treno blindato” (1978),  ma che a livello internazionale mantenne invece la denominazione originale (Inglourious Basterds, appunto). Potrei stare qui giorni interi a parlare di Enzo G. Castellari e delle sue opere ma, vista la sua monumentale filmografia, così ricca di figate, credo che avrò l’occasione altre volte in futuro di tornare a parlarne qui su Obsploitation.

sabato 3 maggio 2014

Obsploitation for dummies #1

Prima o poi doveva capitare il momento per Obsploitation di mettersi a parlare di argomenti che poco o niente hanno a che vedere con il cinema. Questo è infatti uno di quei post, lo vedrete, dove mi perderò in chiacchiere e, visto che sicuramente altri ne verranno prima o poi, ho pensato bene di creare una rubrica apposita, sotto il cui comun denominatore riunire tutti i miei vaneggiamenti presenti e futuri. Vi presento quindi il primo numero di “Obsploitation for dummies”, con il quale mi svesto per un attimo la maschera da cinefilo e ne approfitto per soddisfare le curiosità di Ivano Landi che qualche giorno fa mi ha insignito dell’ambito Liebster Award, un premio che si ripropone con innaturale puntualità ogni anno con il fiorire della primavera. Nel 2012 e nel 2013 era stato il mio blog ammiraglio, The Obsidian Mirror, a riceverlo. Quest’anno invece, a dispetto di qualsiasi pronostico, il Liebster Award sbarca su Obsploitation. Una sorpresa davvero inaspettata visto che Obsploitation, oltre ad essere on-air solo da pochi mesi, è un blog che contiene per ora solo cinque miseri post (oltre a quello introduttivo). Così pochi post e nonostante ciò già il primo riconoscimento pubblico. Ringrazio di cuore Ivano per il pensiero. Obsploitaion per la prima volta (quasi) si commuove.
L’origine del Liebster, nonostante le mie ricerche in rete, sembra perdersi nella notte dei tempi. Anche il suo stesso nome pare sia un mistero fittissimo. Un mistero che mi piacerebbe qualcuno potesse spiegare,  visto che a me “Liebster” ricorda tanto, non so perché, la marca di un dado per fare il brodo. Quella che invece è palese è la natura del Liebster, dietro il cui appellativo “Award” si cela uno dei più temuti e famigerati “meme” della blogosfera.

martedì 22 aprile 2014

Patrick

Mi sono improvvisamente reso conto che è da un mese che non aggiorno questo blog. Il fatto è che tutte le mie energie sono assorbite dallo “Speciale Phantasm”, la serie di articoli dedicati alla serie cult di Don Coscarelli, che sto portando avanti proprio di questi tempi su The Obsidian Mirror.
È vero che Obsploitation, per questioni spaziotemporali, avrebbe dovuto essere nei miei propositi un blog da uno o due post al mese, ma è anche vero che un vuoto così prolungato rischia di tarpare le ali alla nuova creatura proprio in questa, delicatissima, fase di start-up.
Sulla base di questa premessa, ho deciso quindi di interrompere il silenzio riproponendo un post che era già apparso su The Obsidian Mirror all’inizio del 2012, un post che a ben guardare ha più senso inserire di qua che non di là.
Mi sono subito reso conto che questo piccolo stratagemma, se così possiamo chiamarlo, non funziona un granché bene: in due anni il mio modo di fare blogging è decisamente cambiato, forse è maturato o forse è il suo contrario, e un semplice copia e incolla di un post non riesce a soddisfarmi. In altre parole, sebbene stia cercando di mantenerne la struttura originale, non vedo altra possibilità che rimetterci ampiamente mano.

mercoledì 26 marzo 2014

Sei donne per l'assassino

Sono stato a lungo combattuto sull’opportunità di far uscire questo articolo su Obsidian Mirror oppure qui su Obsploitation. Una scelta per nulla facile, visto che “Sei donne per l’assassino”, il film che Mario Bava girò nel ormai lontano 1964, ben si adatta ad entrambi i miei blog, per taluni versi più al primo, per taluni altri più al secondo. Perché? Beh, perché “Sei donne per l’assassino” si può ben definire il miglior esempio di “giallo gotico” che abbiamo o, se visto dalla parte opposta, di “gotico giallo”. Chi mi segue su Obsidian Mirror si ricorderà forse dell’impostazione “gotica” che avevo dato al blog delle origini. Il blog un tempo aveva pure un sottotitolo che diceva pressappoco così: “Piccola antologia del gotico nell’arte, nel cinema e nella letteratura". Nel corso degli anni le cose hanno poi preso binari diversi e Obsidian Mirror si è evoluto in qualcos’altro, ma rimane il fatto che il gotico, e in particolare il gotico visto con gli occhi di Mario Bava, è parte indissolubile del suo DNA. Piccola pubblicità blogghereccia: a chi se li fosse persi suggerisco un click sui post che scrissi a suo tempo su “La maschera del demonio” (1960) e su “La frusta e il corpo” (1963). Chiudo l’inciso. Chi invece ha iniziato a seguire Obploitation dai suoi primi vagiti sa che il lavoro qui sopra vorrebbe tentare di seguire un certo filo logico e, se con “Banditi a Milano” ho inaugurato, a ragione, il filone poliziottesco, quale migliore punto di partenza di “Sei donne per l’assassino", unanimemente riconosciuto come il primo giallo all’italiana della storia.
Secondo una diversa scuola di pensiero Mario Bava avrebbe in realtà inaugurato il filone già due anni prima con il classicissimo “La ragazza che sapeva troppo” (1962), film di indubbio valore che però inserirei più propriamente in una categoria di stampo più, ehm, diciamo “hitchcockiana”, sia per il chiaro riferimento a “L’uomo che sapeva troppo” (1934 e 1956), sia per il tema della follia (come movente, ma non solo), sia per l’utilizzo del bianco e nero che rievoca le atmosfere dei migliori lavori del regista inglese (“Psycho” usciva tra l’altro proprio in quegli anni).

sabato 8 marzo 2014

Flavia la monaca musulmana

Dopo una breve pausa il blog riapre i battenti e, in occasione dell’otto marzo, coglie l’occasione per andare a rispolverare un film che, sebbene oggi sia quasi dimenticato, può giustamente ergersi a simbolo dell’orgoglio femminile, a simbolo di rivolta nei confronti dell’innato condizionamento repressivo della società in cui viviamo. Chi capita qui per caso potrebbe ritenere quasi ironico un post dedicato alle donne in un blog che si definisce “obsploitation”, ma grazie al cielo i miei lettori sono gli stessi che da tempo mi seguono su Obsidian Mirror e, per quanto ho fatto e scritto in questi anni, credo non possa esserci alcun dubbio sulla mie reali intenzioni.
Celebriamo quindi questa giornata con un articolo dedicato ad una donna, Flavia Gaetani. Un’eroina del XIV secolo di cui si è perso anche il ricordo, tanto è difficile, se non impossibile, trovarne qualche riferimento certo nel web. L’unico risultato che emerge digitando il nome di Flavia Gaetani in un qualsiasi motore di ricerca è infatti il film biografico che fu girato da Gianfranco Mingozzi nel 1974. Questa incredibile lacuna lascia diversi dubbi sulla veridicità storica della figura della nostra eroina, ma tutto sommato è forse più importante il messaggio che la sua enigmatica figura è riuscita in qualche modo a tramandare, un segnale forte di orgoglio femminile che esplode all’interno di una società sessista. Una società sessista oggi forse più di allora e che, fuor di retorica, ci porta al post di oggi.

domenica 16 febbraio 2014

Banditi a Milano

I primi giorni di vita di un blog solitamente sono abbastanza semplici da affrontare. Almeno così è stato per me quando ho aperto The Obsidian Mirror, ormai quasi tre anni fa. Si sceglie la grafica e subito dopo si comincia freneticamente a scrivere, a popolare il blog di argomenti più o meno a caso, badando forse più alla quantità che alla qualità, nella consapevolezza che per diversi mesi, probabilmente, nessuno verrà a dare un’occhiata, né tantomeno nessuno verrà ad esaminare con la lente di ingrandimento le sciocchezze che si scrivono. Quando poi i primi lettori cominceranno ad arrivare l’unica cosa che si limiteranno a fare è controllare la data di nascita del blog e il numero di post che sono stati scritti, cercando di capire da questo insignificante dettaglio se vale la pena fermarsi o darsela a gambe.
Obspolitation è diverso. Obsploitation non ha il tempo per i preliminari. Grazie ad un semplice post introduttivo, infatti, ben otto persone là fuori hanno già deciso di diventare lettori fissi del blog, offrendo piena e cieca fiducia a chi scrive. È un inizio che mi riempe di orgoglio e che, volente o nolente, mi mette nella condizione di dover usare fin da subito una “certa logica” negli argomenti che appariranno qui nei prossimi mesi. Ho già detto che il punto di partenza di Obspolitation è il cinema italiano anni Settanta e, visto che ormai l’ho detto, ora non posso che confermarlo. E da dove potrei partire se non dal genere che più di ogni altro ha caratterizzato quegli anni mitici? È del cinema poliziesco all’italiana (conosciuto anche come poliziottesco) che parleremo oggi. E da dove cominciare se non dal film che è stato unanimemente riconosciuto come il vero capostipite del genere? Da “Banditi a Milano” di Carlo Lizzani, ovviamente.

giovedì 6 febbraio 2014

Il mistero Maldoror

È praticamente impossibile iniziare a parlare di cinema Obsploitaion su questo blog senza un piccolo omaggio a Nocturno, sulle cui pagine ho praticamente trascorso una dozzina d’anni della mia vita, leggendo ogni mese, con bramosia infantile, i meravigliosi articoli di Manlio Gomarasca e di Davide Pulici. Ed è proprio grazie a Nocturno che ho (ri)scoperto quell’amore per il cinema cosiddetto “di genere”, o cinema “bis”, così lontano dalle luci hollywoodiane o dal così definito cinema d’autore. Va da sé che un blog come Obsploitation non può prescindere da quelli che sono stati i canali di formazione di chi vi scrive e, quasi d’obbligo, è quindi iniziare da qui. Obspolitation è uno spazio che intende rendere omaggio al cinema e lo farà come è capace di fare, con forse poca competenza ma di sicuro con tanta passione. Il percorso di Obspolitation parte, come ho già scritto nel post introduttivo, gettando uno sguardo al cinema italiano anni Settanta e lo fa oggi partendo da un film… che non esiste: il mitico Maldoror di Alberto Cavallone. Chi sa di cosa parlo, non potrà non sapere anche che quel poco che è disponibile in rete su Maldoror deve la sua esistenza alla rivista Nocturno. Lo stesso Alberto Cavallone (1938-1997), regista e sceneggiatore italiano tra i più discussi, deve la memoria di sé alla rivista che, ormai da diversi anni, porta avanti un discorso di riscoperta del Cavallone uomo e del Cavallone regista.

giovedì 30 gennaio 2014

Obsploitation has landed

Benvenuti in OBSPOLITATION, il blog nato da una costola di Obsidian Mirror. Un piccolo blog che in linea di massima ne rispetterà i principi e le scelte, oltre che l'impostazione grafica. Quello che salta subito agli occhi è la complementarità del colore di sfondo. Tanto nero è Obsidian Mirror, tanto bianco è Obsploitation. Ma nero e bianco sono solo dei colori, anzi, per essere precisi essi sono rispettivamente "assenza di colore" e "somma di tutti i colori". L'uno è il contrario dell'altro, ma ciò non significa che i due colori talvolta non si sovrappongano formando un tutt'uno. Il terzo colore è il rosso, che i due blog condividono nella grafica del titolo. Rosso come il fuoco, rosso come la passione, rosso come l'argilla, rosso come il vino, rosso come il cielo al tramonto... rosso come il sangue. Ecco, è proprio il rosso il vero punto in comune.
Obsploitation, nei miei intenti, non toglierà alcuno spazio a "The Obsidian Mirror", al quale è riservato il compito fondamentale di parlare di me, dei miei progetti, della mia vita, delle mie passioni. Obspolitation è destinato a rimanere un blog di nicchia, subordinato a quello principale. Obspoitation non ruberà dello spazio all'altro blog, così come non gli ruberà del tempo. Obsploitaiton quindi, volente o nolente, non potrà che avere una frequanza di aggiornamento più lenta, in relazione alle necessità mie e a quelle del blog principale.